GALEOTTA FU L’AIDA - Puccini e l'Aida pisana
- ceccofilac
- 28 set
- Tempo di lettura: 11 min
Aggiornamento: 8 ott

Oggi pomeriggio alle 17 rivivremo insieme le emozioni che il giocane Puccini provò recandosi nella nostra città nel lontano 1876 quando venne a vedere al Teatro Nuovo l'opera Aida di Giuseppe Verdi. Con una rievocazione storica alcuni amici artisti metteranno in scena un'ampia scelta di brani tratti dall'opera e un giovane attore reciterà la parte del giovanissimo Puccini.
Interpreti dello spettacolo concerto:
Nicholas Ori (Giacomo Puccini) attore
Katerina Kotsou (Aida) soprano
Michael Alfonsi (Radames) tenore
Silvia Pasini (Amneris) mezzosoprano
Sergio Bologna (Amonasro) baritono
Alessandro Ceccarini (Ramfis) basso
Veronica Angelica Niccolini (Sacredotessa) soprano
Al pianoforte Silvia Mannari
Introduce l'incontro Carlo Menconi
La rievocazione storica avviene in occasione della visita degli Amici del Festival presso la nostra sede sociale, il Piccolo Teatro della Soffitta, di Piazza San Giorgio, 6 a Pisa.
Ingresso riservato agli ospiti e ai soci della Soffitta.

L'invito ufficiale dell'evento
Per approfondire il tema con piacere condividiamo nel presente articolo il capitolo dedicato alla esperienza pucciniana dell'Aida del 1876 dal libro di Alessandro Ceccarini "Almanacco Pucciniano - Giacomo Puccini e Pisa" edito da dreambook nel 2024 a cento anni dalla morte del maestro.
(Ringraziamo l'autore e l'editore per averci concesso la pubblicazione di questo importante estratto.)
da "Almanacco Pucciniano - Giacomo Puccini e Pisa" di Alessandro Ceccarini
La vicenda della celebre venuta a Pisa di Giacomo Puccini, con almeno due suoi amici, per assistere all’Aida che veniva rappresentata al massimo teatro cittadino, il Teatro Nuovo (poi Teatro Verdi), merita decisamente un capitolo a sé, e non solo per l’oggettiva importanza del fatto, ma anche per dare, del compositore, un ulteriore elemento di conoscenza delle emozioni provate, tipiche in quella fascia di età nella quale si possono determinare scelte fondamentali nella vita di un uomo e di cui si conosce poco del mondo. Nel corso degli anni si sono svolte indagini approfondite sull’evento, ormai divenuto storico e che si può definire
di memoria collettiva, infatti tutti sanno, per lo più, che egli è venuto e tornato a Lucca esclusivamente a piedi (magari, così esaudendo il proposito di recarsi a Pisa senza pagare un biglietto. Questo spiegherebbe la insistente visione poetica del racconto della super camminata di oltre 20 km a cui anche lui stesso, a partire dal 1903, fa riferimento nelle sue
testimonianze).
La versione, che anche i suoi amici più cari raccontano nelle memorie, è inequivocabilmente una e sola, ma altre due versioni esistono e vanno obbligatoriamente menzionate per questioni di precisione storica e di curiosità.
Durante le stagioni liriche del tempo, siamo nel 1876, ed esattamente la prima di Aida avvenne l’11 marzo, era uso istituire dei treni speciali che collegavano i capoluoghi anche ben oltre l’orario di tabellone. Le comunicazioni venivano stampate come annunci pubblicitari sui giornali cittadini, ben visibili, posti solitamente in ultima pagina, in riquadri, con le dovute specificazioni. Può essere che per l’Aida fosse stato istituito un treno da Pisa per Lucca e viceversa o anche solo da Pisa a Lucca, per il ritorno, e Puccini e gli amici ne avessero usufruito. Questa è la versione che attualmente è accettata maggiormente a livello accademico.
La terza versione, non menzionata in studi e memorie, è quella che tramandavano i vecchi coristi della Corale Pisana, ovvero che Puccini si fece caricare da un carretto (barroccio) che trasportava farina e che fece il suo ingresso con gli amici dalla porta di servizio (degli artisti)
spacciandosi per manovale/fattorino. Questa versione, oltre ad essere intrigante, è anche plausibile poiché avrebbe unito l’esigenza di non pagare niente con quella di risparmiare le suole delle scarpe almeno per l’andata. A riprova della terza versione ci sono solo dei ricordi, anche se sono ben definiti, niente di storico o di provabile ma ugualmente dovevo menzionarla per questione di cronaca perché ci si incominci a ragionare su.
C’è da dire comunque che secondo una cronaca del 1924 Puccini sarebbe venuto a vedere a Pisa nel 1976 prima dell’Aida altre due opere. L’Aida fu quella decisiva che in lui fece aprire, come ebbe modo di dire più volte, “lo sportello musicale”…. “il Dio Santo mi toccò col dito
mignolo e mi disse: <<Scrivi per il teatro: ma bada bene, solo per il teatro>> e ho seguito il suo consiglio”.
Riporto alcune citazioni e ricordi storici della cosiddetta “versione storica”, ovvero quella podistica. Il primo racconto è di Piero Radda Conti, decisamente poetico ed evocativo. (Nel racconto però sbaglia clamorosamente il periodo in cui avvenne la venuta a Pisa!)
“Fu nel settembre del ‘75, (Giacomo aveva ormai diciotto
anni), che avvenne l’incontro fatale. Incontro con una donna,
naturalmente. Una egiziana... del tempo dei Faraoni: l’Aida.
Era giunto a Lucca l’annunzio di una rappresentazione dell’Aida
a Pisa. L’opera verdiana, dopo la consacrazione del Cairo,
per il taglio dell’istmo di Suez, era stata data, alla Scala, quattro
anni innanzi, e cominciava a far capolino sui cartelloni delle
città minori.
Giacomo decise in cuor suo di andarci, a qualsiasi costo. E
poiché non poteva più far saltare i sigilli ceralaccati di qualche
«cartuccia», né sfoltire ulteriormente la selvetta delle canne,
dietro l’organo delle Benedettine, cercò di comunicare il suo
entusiasmo a due fidi coetanei per tentar con loro una gratuita
avventura. Il suo piano era semplice: andare e tornare a piedi.
Entrare senza pagare.
Occorrevano, con la strada di S. Giuliano, ventitré chilometri
di marcia, per arrivare dai bastioni di Lucca alle tombe dei
Faraoni. Quella accaldata spedizione nella polvere di un soleggiato
settembre, e, più ancora, il fresco ritorno notturno,
rimasero, per tutta la vita, fermo ricordo nella memoria di
Giacomo.
Fu, quello, il giorno della sua seconda, e più vera, nascita. Perché
fu nell’entusiasmo adolescente e nel rapimento melodioso
di quella serata, al rezzo delle “foreste imbalsamate”, tra guerrieri
etiopi e coriste color cioccolata, che Giacomo Puccini senti avvampare e
grandeggiare prepotente nel petto, la propria vocazione.
Verdi gli aveva svelato, di colpo, la bellezza e la sfolgorante
potenza del teatro musicale. E Puccini doveva, per tutta la
vita, restar fedele a quella subitanea illuminazione del suo spirito.
La musica, per lui, non si sarebbe più disgiunta dalle luci
della ribalta.
Guardava, sulla via del ritorno, tra i suoi due compagni, il Pieri
e il Carignani, come lui silenziosi, il profilo immobile delle
Apuane, immense e lontane nella calma notte lunare. I tre
ragazzi si sentivano stanchi e come smunti per le brucianti
emozioni di quella straordinaria serata. Erano arrivati a teatro
molto prima dell’inizio dello spettacolo; con un pretesto
qualunque erano riusciti ad infilare le scale, che gli inservienti
stavano ancora spazzando. Appollaiati agli ultimi ranghi del
loggione ancora buio e silenzioso, avevano aspettato, col cuore
in gola, temendo ad ogni istante di essere scoperti e cacciati
fuori.
Ma era andata bene. A poco a poco si erano accese le luci,
il chiacchierio del pubblico aveva cominciato ad animare le
gradinate, e, confusi agli spettatori legittimi e paganti, i tre ragazzi
si erano sentiti ormai sicuri. Il resto della serata era stato
un rapimento di canti, e di musiche e di marcianti clangori di
trombe: che ancora, nella tranquilla frescura notturna, echeggiavano,
melodiose, nella memoria. Camminando si allargava
nel petto di Giacomo un fermo, un duro proposito. Bisognava
studiarla sul serio la musica, e lottare, e vincere! Non per le
pedate dello zio organista, non per meritarsi di andare a caccia,
nei giorni di festa, col bravo maestro Angeloni, ma per se
stesso, per servire la voce interiore che si alzava imperiosa nel
suo animo.
E questa vocazione, ora che la sentiva grandeggiare, prepotente,
gli pareva di averla sempre avuta. Forse, quando, sedendo
all’organo, nella chiesa delle Benedettine, si abbandonava
a capricci profani, non era scandalo ma virtù; virtù sua, inconfondibile,
e sua missione tra gli uomini. Ora lo capiva, ora
conosceva se stesso, e giurava di essere fedele al comando di
quella sera, sgorgato tra i palmizi di cartapesta nel Nilo, e confermato
al cospetto delle dolci rive del Serchio, che scorreva, silenzioso, al piede dei colli.
L’aria andava facendosi grigia, di quel dubbioso colore ch’è
come il presentimento dell’alba. Poi apparvero le mura di Lucca,
con le alte chiome frondose. Entro la loro cerchia serrata
spuntavano la torre dei Guinigi e i campanili delle molte chiese.
Puccini abitava una casa senza grazia, nella tetra via di Poggio.
Varcandone la soglia alle prime luci del giorno, un proposito
era ormai chiaro in lui: bisognava andare a Milano”.
(Da “Vita e melodie di Giacomo Puccini” di Piero Radda
Conti - Ceschina editore Milano 1955)
Un racconto certamente mieloso ma che mette in evidenza alcune interessanti
suggestioni che il giovane Giacomo ha forse provato tornando
indietro da Pisa in quel glorioso giorno.
Altro contributo è di Enzo Siciliano, per il quale il viaggio verso la
consapevolezza invece avvenne di agosto (da notare l’errore di data…
pure da parte sua!).
“L’11 agosto 1876 si recò a Pisa per assistere per la prima
volta a un melodramma: l’Aida. Il ritorno, sempre a piedi, è
tutto un cantare al lume delle stelle “le foreste imbalsamate” e
“i templi d’or”. Ha diciotto anni: l’ascolto di quell’opera deve
essere stato decisivo.
È Puccini a far di quella musica che si sgretola e s'impenna
la propria cifra inventiva. La gita a Pisa,con il cantato ritorno
notturno, fu simbolicamente iniziatrice. Prima che sui francesi,
Bizet o Massenet, la cultura di Puccini prese volto in quella
serata”.
(Da “Puccini” di Enzo Siciliano)
Il più poetico ma anche forse il più plausibile racconto che è stato fatto
sulla vicenda è appannaggio di Adami, amico di Puccini, forse lo conosceva
così bene che nel suo racconto ce lo sentiamo più vicino che mai,
e ci trasporta con lui nell’impresa sognando a occhi aperti.
“- Questa strada - mi diceva quando si passava in macchina
insieme per andar su a Cutigliano a lavorare alla Rondine -
sapeste quante volte l’ho fatta a piedi, tornando a Lucca solo,
di notte, coi miei piccoli guadagni faticati e coi miei grandi progetti d’avvenire!
Voleva Milano. Voleva il Conservatorio. Voleva studiare.
A montargli del tutto la fantasia era stato Giuseppe Verdi.
Gran parlare in quei giorni a Lucca delle rappresentazioni della
nuova opera verdiana a Pisa. Un’opera - si diceva - colossale:
l’ “Aida”. Quelli che, fortunati loro, c’eran stati, ne eran
venuti via con una specie di esaltazione. Opera grande, opera
immensa. Quella marcia trionfale di Radames, quelle trombe
lunghe inventate apposta, mai viste prima d’ora, da sbalordire.
Giacomo ascoltava con tanto d’occhi. E il respiro gli si
fermava, e la bocca s’inaridiva, e il desiderio si faceva intenso.
Poterci andare! Poter vedere! E un giorno non resistette più.
S’accordò con un amico, e così, a piedi, con in tasca il necessario
per pagarsi il loggione, partì per Pisa.
Mai, per tutta la vita, Puccini dimenticò l’impressione meravigliosa
di quella serata. Era la prima volta che vedeva un’opera
di teatro, e quella prima opera era, nientemeno, l’ “Aida”. E di
lassù, fra l’ebbrezza delle luci, dei colori, dei suoni, tra il fasto dei
grandi quadri e la poesia delle raccolte melodie, gli parve che una
voce lo chiamasse per travolgerlo nel gorgo della sua passione
o sollevarlo per la via infinita dei cieli azzurri della sua fantasia.
Studiare! Studiare! Creare opere di teatro! Afferrar la fortuna!
Conquistare la gloria! Diventare di Verdi il seguace innamorato
e devoto!”
(Giuseppe Adami - “PUCCINI” - Milano, Fratelli Treves Editori,
1935)
Un dato interessante, a parte il racconto fascinoso, che è contenuto in
queste righe: si parla di loggione. Infatti era il posto più economico, ma
anche quello indicato dai coristi nel racconto della “terza via” (come
l’ho chiamata). Questo non prova niente, ovviamente, ma intanto abbiamo
quasi la certezza che Giacomo seguì l’Aida da “lassù”, come
uno del popolo, e al popolo che frequentava il teatro dedicherà i suoi
capolavori.
Ho ricercato memorie di quella serata così importante per Giacomo
e ho trovato nel libro di Voltolino (Alfredo Gentili) “Cinquant’anni
dopo… (Il Regio Teatro Verdi nei suoi ricordi)” a pagg. 65 e 66 alcune
importanti conferme sull’eccezionalità dell’evento:
“Per la Quaresima si ripromise di dare l’Aida di Verdi, che nel
‘72 al Cairo e poi in Italia era stata salutata come il capolavoro
del Genio verdiano, purché la cittadinanza concorresse con
un supplemento di dote a rendere attuabile uno spettacolo
che richiedeva delle spese ingenti per la messa in scena e per
la compagnia di canto. La sottoscrizione fu coperta in pochi
giorni e la sera dell’11 marzo 1876 l’Aida andò in scena al
nostro teatro con la Franceschina Tabacchi, un’artista di fama
che alla maestosa figura accoppiava una voce sublime, con la
Destin che, imposta da Verdi, aveva cantato la parte di Amneris
nella prima esecuzione del Cairo, con il tenore Barbacini,
che nel Carnevale aveva cantato al S.Carlo di Napoli suscitando
furori per la finezza del suo canto, e col baritono Leopoldo
Borgioli di Prato che era dotato di una estensione di voce da
farlo sembrare un fenomeno. Anche per l’orchestra Giuseppe
Verdi e l’editore Ricordi avevano imposto un maestro di loro
fiducia. Così, interrompendo la tradizione conservata fino a
quel giorno, di affidare la concertazione delle opere ai maestri
pisani, venne per quella stagione a guidare l’orchestra e a garantire
la perfezione dello spettacolo, il M. Ettore Contrucci.
Affermando che Pisa, per quell’Aida, andò in delirio non esagero.
La musica, gli artisti, la solennità della messa in scena
suggestionarono, sconvolsero il pubblico che era pigiato nel
loggione e nell’anfiteatro fino alla soffocazione.
Una corrente elettrica lo avrebbe scosso meno. La Tabacchi,
la Destin, il Barbacini – che fu giudicato tosto l’emulo di Masini
– ebbero chiamate innumerevoli e feste degne di veri sovrani
del canto. Uno dei nostri vecchi, commuovendosi ancora
al ricordo di quell’Aida mi diceva: - Fu uno spettacolo celestiale!…
Non avevo mai veduto Pisa, abitualmente calma e
difficile all’entusiasmo, in preda a così schietta commozione.”
É evidente che fu un enorme successo che impressionò davvero moltissimo tutti come
risulterebbe anche da questo articolo de La Provincia di Pisa.
«La Provincia di Pisa» del 12 marzo 1876
“TEATRI
Aida
Nei fasti del R. Teatro Nuova. E’ una sera solenne questa in
cui ha luogo la prima rappresentazione del capolavoro di Verdi,
l’Aida.
Il teatro è al gran completo, palchi, poltrone, posti distinti, platea,
tutto pieno.
Il maestro direttore d’Orchestra, signor E. Contrucci, è al suo
pasto. Poco dopo le ore 8 si fanno udire i primi colpi della sua
bacchetta: il frastuono che si sente in orchestra cessa come per
incanto, tutti i suonatori si trovano pronti. Le conversazioni del
pubblico tacciono, regna nel vasto teatro il più profondo silenzio:
non si vuol perdere una nota di quest’opera, che è stata attesa
con tanta impazienza, con tanto desiderio.
Il bellissimo preludio incomincia, l’attenzione si raddoppia.
Vorrei tener dietro passo a passo all’andamento dell’Aida; vorrei
dire particolarmente dall’esecuzione, ma come farlo ora? Scrivo
in fretta appena terminata l’opera, quando il giornale deve andare
in macchina, e son costretto a limitarmi pochi appunti senza
tener conto di tutte le mie impressioni, né di quella del pubblico.
Della musica dell’Aida si parla oggi stesso nell’ Appendice; qui
terrò solo parola dell’esecuzione.
La signora Franceschina Tabacchi (Aida) ha avuto un vero
successo. Essa ha una bellissima voce, molto intonata, agilissima,
simpatica ed estesa. Buono il suo metodo di canto, buona
e corretta l’azione. drammatica. Essa ha dato prova di un
sentimento profondo, di grandissima intelligenza, e non pare
che sia questa la prima volta che si produce nell’Aida che ha
interpretato benissimo, con molto sapere e con molta arte.
La signora Tabacchi ha confermato anche in quest’opera la bella
fama che si è acquistata nei principali teatri stranieri et Italiani,
nei quali ha cantato non pochi e difficilissimi spartiti.
La signora Maria Destin (Amneris) ha pure una bella e buona
voce, intonata, agile, ed estesa; essa pure si distingue per l’azione
drammatica, per la molta intelligenza, per il sentimento squisito
dell’arte; essa pure possiede un buon metodo di canto, e nella
parte di Amneris che ha interpretata con successo, ha confermato
quel bel nome di artista che ha saputo acquistarsi all’estero
ed in Italia sia nell’ Aida, sia in altre opere di non lieve né facile esecuzione.
Il sig. Enrico Barbacini (Radames) è un tenore che ha voce robusta,
buonissimo metodo, accento chiaro, buona azione drammatica,
e fraseggiare bellissimo. Artista di squisita intelligenza,
ha fatto persuaso il pubblico che la bella fama che lo aveva preceduto
era giustamente meritata e che i trionfi da esso ottenuti
in Italia ed all’estero sono dovuti alla sua valentia non comune.
Il signor Leopoldo Borgioli (Amonasro) è un baritono dalla voce
potente; ha buon metodo di canto, intelligenza, buona voce,
buona azione drammatica, e disimpegna con molta diligenza ed
accuratezza la sua parte, per cui tra i baritoni merita davvero un
posto distinto.
I sigg. Raimondo Maini, Angelo Mancini-Silveri e Pietro Marcucci
disimpegnano con molta accuratezza e diligenza le parti
loro affidate.
Dopo avere accennato brevemente ai meriti di ciascuno degli artisti
di canto dell’Aida, dirò che nell’insieme l’esecuzione è stata
buonissima ed inappuntabile per parte di tutti.
L’orchestra, la banda del palcoscenico, le sei trombe che suonano
la marcia, i cori, il corpo di ballo, hanno fatto del loro meglio,
e ne vanno grandemente lodati i rispettivi direttori signori Contrucci,
Nuceorini, Simi e Bini.
La messa in scena è splendida, bellissimi eleganti e ricchi i vestiari;
belle le scene e le decorazioni; bene eseguito tutto quello
che riguarda il macchinista, e non poteva essere diversamente
quando il macchinista è il signor Giovanni Mugnaini.
Il pubblico ha ascoltato con religiosa attenzione tutta l’opera ed
ha calorosamente applaudito alle signore Tabacchi e Destin ed ai
signori Barbacini e Borgioli che sono stati ripetutamente e con
vivo entusiasmo chiamati moltissime volte all’onore del proscenio.
La signora Tabacchi nel duo del terzo atto col Barbacini ha dovuto
ripetere la frase Là tra foreste vergini ed è stata applauditissima.
Anche l’Impresa ha avuto la sua buona parte di encomi;
ed io sono lieto di poter farle le mie congratulazioni perché ha
saputo dare uno splendido spettacolo degno del nostro maggior
teatro, e tale che potrà compensarla delle ingenti spese cui è andata
incontro; cosa che le auguro di gran cuore.
G. F.”



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